I dati sono il motore che muove la nostra società, caratterizzata dall’ormai quasi esclusiva gestione digitale delle informazioni.
Senza di essi resteremmo fermi, bloccati nel bel mezzo di un oceano di possibilità mancate e di occasioni perse.
Sì, perché dai dati che vengono prodotti e poi analizzati, derivano scoperte fondamentali per prendere decisioni e produrre cambiamenti.
Le informazioni che derivano da indagini statistiche, ma soprattutto i Big Data (quelli cioè che produciamo ogni giorno online), ci permettono di trovare soluzioni che altrimenti, sia all’interno di aziende che di organismi pubblici, sarebbe difficile immaginare.
Ma per sfruttare veramente le potenzialità dei dati bisogna che questi non circolino esclusivamente all’interno dell’organizzazione o del settore dove vengono prodotti.
Essi infatti acquistano valore solo nel momento in cui si riesce a combinarli e a metterli insieme ad altri, eliminando tutte le barriere che ne ostacolano il flusso.
Nella pratica, i dati producono più valore quanto più vengono scambiati e fatti circolare.
Proprio dalla loro diffusione su larga scala dipende anche la forza motrice che sono in grado di esercitare nei vari ambiti di applicazione.
La soluzione è il Data Act?
Per armonizzare l’uso dei dati digitali si è posta la necessità di adottare a livello europeo un nuovo quadro normativo.
In questo modo imprese e pubbliche amministrazioni avrebbero la possibilità di incrementare la propria efficienza.
Ne gioverebbe lo sviluppo economico, scientifico e sociale dell’Unione negli anni a venire.
La proposta di legge sui dati si chiama Data Act, ed è stata presentata dalla Commissione Europea il 23 febbraio 2022 come parte della European Data Strategy, che mira a realizzare un mercato unico europeo dei dati.
Già l’approvazione del Data Governance Act nel maggio 2022 aveva segnato un passo importante nella creazione di procedure e strutture per facilitare la condivisione dei dati.
Il Data Act si presenta come un ulteriore avanzamento in tal senso, fornendo indicazioni precise per l’accesso e il riuso delle informazioni da parte di imprese, consumatori e pubbliche amministrazioni.
In particolare, il Data Act va a incidere sulla condotta delle aziende, prevedendo una serie di obblighi volti a favorire l’accesso equo ai dati e il loro riutilizzo.
Si vuole in sostanza rendere la dimensione digitale uno spazio più aperto e sicuro, rispettoso dei valori fondanti la nostra comunità.
Principi e obiettivi del Data Act
Nel Data Act sono presenti alcuni principi cardine di tanta parte dell’attuale normativa europea di settore.
Ne sono un esempio il principio di accessibilità dei dati e di informare “in un formato chiaro e comprensibile”.
Troviamo poi anche il “diritto di accedere ai dati” e il “diritto di condividere i dati con terzi”.
A livello “macro” è chiaro che il Data Act ha come obiettivo quello di rendere più equo l’accesso e il riuso delle informazioni.
Nello specifico, in riferimento ai soggetti pubblici, prevede che gli stessi possano utilizzare i dati delle imprese in determinate circostanze eccezionali, in particolare in caso di emergenza pubblica o per attuare un mandato legale se i dati non sono altrimenti disponibili.
Considerazioni del Garante della privacy sul Data Act
In merito alle questioni poste dal Data Act, il Garante della privacy sembra ritenere valida la scelta di varare un unico “corpus juris digitalis” organico ed onnicomprensivo.
Questo infatti eviterebbe di adottare tanti atti quante sono le prospettive e i profili investiti dal fenomeno della digitalizzazione dell’economia.
Ciò è quanto emerge dall’intervento della Vice Presidente dell’Autorità sul tema, intitolato “Luci e ombre della Data Strategy europea”.
Qui la Prof.ssa Ginevra Cerrina Feroni, oltre a mettere in luce gli aspetti positivi del Data Act, sostiene che ci sono diverse questioni ancora aperte legate all’attuazione di questo provvedimento, quali ad esempio le problematiche legate a perimetri d’azione e ambiti di interpretazione dei vari legislatori coinvolti, tra cui ovviamente proprio il Garante della privacy.
Oltre all’interazione con le altre leggi in vigore, restano poi da chiarire altre questioni, come le procedure di utilizzo e di accesso ai dati da parte del settore pubblico.
Ancora da risolvere sono anche le criticità sollevate tanto dalle PMI, quanto dalle grandi compagnie tecnologiche, che lamentano di essere discriminate dalle misure protezionistiche del Data Act.
Quest’ultimo spingerebbe effettivamente molte aziende che operano in Europa a memorizzare più dati nel continente piuttosto che inviarli all’estero o ricorrere ad aziende extra-UE.
Data Act sì, ma a determinate condizioni
Secondo la Vice Presidente del Garante, per cogliere appieno i benefici dell‘innovazione connaturata alla data economy e rendere applicabile la nuova proposta legislativa devono verificarsi una serie di condizioni.
In primo luogo, le varie Autorità competenti nei singoli Paesi dell’Unione Europea dovrebbero coordinarsi e prendere decisioni efficaci per tutti.
Poi andrebbero istituite figure professionali specializzate che i Paesi dell’UE dovrebbero impegnare per analizzare e trattare i dati e ridurre le barriere che ancora ostacolano il flusso delle informazioni tra Paese e Paese.
Più in generale, si immagina nel futuro prossimo e nel contesto di attuazione della norma uno scenario in cui rivestirà un ruolo decisivo la formazione, teorica e pratica, relativa alla sfera digitale, alle sue possibilità e ai rischi che comporta.
La formazione riguarderà tanto i ‘nativi digitali’ che le generazioni precedenti.
Inoltre, sempre più rilevante diventerà il presidio informativo, con riferimento non solo all’aspetto della protezione dei dati ma anche ai termini di servizio/condizioni contrattuali di tutti gli strumenti digitali.
Questi dovranno dotarsi di un linguaggio descrittivo chiaro, semplice, e supportato da tutte le tecnicalità (icone, video, disclaimer) utili a renderlo immediatamente comprensibile.
Secondo la Vice Presidente dell’Autorità sono queste le condizioni con cui potremmo provare a realizzare una strategia digitale europea che ci consenta di competere con le data economy extra-UE.
[…] Tali condizioni ci permetterebbero di rispettare i diritti e le tutele degli interessati e, conseguentemente, della ‘dignità’ della persona umana che permea l’ordinamento europeo […].
L’importanza dei dati per PA e scuola
Nel settore pubblico l’integrazione e la condivisione dei dati tra PA permette di fornire servizi migliori e più efficienti a cittadini, imprese e amministrazioni.
L’opportunità di condividere in formato aperto una parte significativa delle informazioni dell’apparato scolastico ha trovato riconoscimento esplicito già nell’art. 1, commi 136-141 della legge 107/2015.
Con questo provvedimento si garantisce stabilmente l’accesso e la riutilizzabilità dei dati pubblici del sistema nazionale di istruzione e formazione.
Tra le banche dati espressamente elencate nella norma – e quindi oggetto di pubblicazione – compaiono i dati relativi ai bilanci delle scuole, i dati pubblici afferenti al Sistema nazionale di valutazione, l’Anagrafe dell’edilizia scolastica, i dati in forma aggregata dell’Anagrafe degli studenti, i provvedimenti di incarico di docenza, i piani dell’offerta formativa, i materiali didattici e le opere autoprodotte dagli istituti scolastici e rilasciati in formato aperto.
Questi dati, documenti e informazioni sono utili a valutare l’avanzamento didattico, tecnologico e d’innovazione del sistema scolastico.
C’è la stessa finalità alla base della sezione “dati e statistiche” del portale del Ministero dell’Istruzione, dedicata appunto agli open data.
Anche per la scuola quindi, esistono incalcolabili benefici che derivano dall’uso e dall’analisi dei dati.
Possiamo solo immaginare come e in che misura il sistema scolastico potrebbe beneficiare di un’ulteriore apertura ai dati, in cui sarebbe coinvolta l’Europa intera.
Che poi una più ampia condivisione debba essere sempre controllata e “a prova di privacy”, va da sé!