Sono le 7 e 30 del mattino a Otranto, in Puglia. Mattia, 9 anni, come ogni giorno si è appena svegliato e sta facendo colazione con una morbidissima ciambella al limone.
Alle 8:00 accede all’aula virtuale dove lo aspettano l’insegnante e i compagni di classe.
Durante le pause tra le lezioni, Mattia legge i messaggi in chat dei suoi amici, si collega ai suoi social e fa qualche ricerca online.
Più tardi, nel pomeriggio apre un link per guardare la registrazione della lezione di matematica a cui il giorno prima non ha partecipato.
Alla fine della giornata, pubblica una foto dei suoi compiti sul gruppo Telegram a cui è iscritta tutta la classe.
A sua insaputa, uno sciame invisibile di tecnologie lo sta tracciando.
Il report di HRW fa temere per la privacy di studenti e studentesse
La situazione descritta rispecchia quanto espresso dal report di Human Rights Watch (Organizzazione internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani) relativo a come i ragazzi di tutto il mondo siano stati monitorati dalle piattaforme utilizzate per la didattica a distanza (DAD) durante la crisi epidemiologica da Covid-19.
Il report, intitolato “How Dare They Peep into my private life?“ (“Come osano spiare nella mia vita privata?”), rivela come quasi il 90% delle piattaforme digitali utilizzate per la DAD negli anni della pandemia abbia violato il diritto alla privacy di studenti e studentesse, raccogliendo illecitamente informazioni, e installando nei propri sistemi infrastrutture e tecnologie non dichiarate capaci di tracciare le abitudini dei singoli utenti, utilizzate poi a fini pubblicitari e commerciali.
I dettagli dell’analisi
Human Rights Watch ha condotto la sua analisi tra marzo e agosto 2021.
Nel report si leggono anche una serie di interviste a studenti, genitori e insegnanti, che sono stati interrogati sulle loro esperienze di apprendimento online.
Gli intervistati, grazie a cui l’indagine sul rapporto tra privacy e didattica digitale si è avvalsa di preziose testimonianze dirette, provengono da Australia, Cile, Danimarca, Germania, Indonesia, India, Iran, Italia, Libano, Repubblica di Corea, Russia, Serbia, Spagna, Sud Africa, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti.
Il focus della ricerca globale di HRW è la tecnologia educativa (EdTech) approvata da 49 governi per l’istruzione di bambini e adolescenti durante la pandemia.
Dei 163 prodotti EdTech esaminati, 39 sono applicazioni mobili (“app”), 90 sono siti web, e 34 sono strumenti disponibili in entrambi i formati.
Di questi, 145 (e cioè l’89%) hanno violato il diritto alla privacy di chi ne ha fruito.
Come? Raccogliendo illecitamente dati sulla loro identità, sulle loro abitudini e sui loro dispositivi.
Nessuna delle 66 app analizzate da Human Rights Watch ha consentito agli utenti di rifiutare l’accesso ai loro dati da parte di altre società.
Quella di HRW è una vera e propria denuncia del modo in cui le EdTech company avrebbero agito nel proporre alle scuole forme di didattica alternativa.
Le conclusioni della ricerca
Sulla base dell’analisi tecnica e politica di centinaia di prodotti EdTech (piattaforme digitali, app e siti web), Human Rights Watch rileva quindi che l’approvazione da parte dei governi della maggior parte di questi strumenti di apprendimento online ha messo a rischio o violato la privacy e i diritti di moltissimi minori, per scopi estranei alla loro istruzione.
In Italia il Ministero dell’Istruzione, durante la chiusura delle scuole causata dalla pandemia, ha dato indicazioni su quali strumenti utilizzare, e ha anche stipulato accordi specifici con alcune aziende affinché venissero raccolti solamente i dati strettamente necessari agli scopi didattici, senza essere ceduti a terzi.
In ogni caso, vista la gravità del report che riconosce che la maggior parte delle aziende EdTech non ha rivelato la propria attività di sorveglianza e raccolta dei dati violando la privacy di innumerevoli studenti, genitori e insegnanti, la Senatrice Maria Laura Mantovani ha dichiarato che proporrà una specifica interrogazione parlamentare.
Dai Big Data può nascere la scuola del futuro
Dati i risultati del rapporto di HRW dovremmo pensare che la didattica digitale sia stato il passo più lungo della gamba che le scuole di tutto il mondo hanno avuto l’ardire di compiere? Assolutamente no.
I dati sopra riportati mostrano soltanto un aspetto della questione DAD e digitalizzazione scolastica.
Un elemento su cui vale sicuramente la pena riflettere, ma che non deve bendare gli occhi di insegnanti e educatori.
Come sempre quando si fa un cambiamento drastico, soprattutto se in una situazione d’emergenza, qualcosa può sfuggire.
Non tutto è rigidamente passato in rassegna e controllato.
Nel caso in oggetto, la didattica a distanza è stata un’esperienza forzata dalla crisi sanitaria, ma ha comunque lasciato qualcosa di buono alla scuola del futuro e cioè: i Big Data.
Un report per riflettere su didattica digitale e innovazione a scuola
Proprio così, i dati raccolti in DAD plasmeranno la scuola del futuro.
Questo è quanto emerge da uno studio condotto da Fondazione Cariplo, Politecnico di Milano e WeSchool.
Lo studio si inserisce nel progetto “Innovazione didattica: i Big Data per disegnare la scuola di domani”.
L’analisi dei Big Data potrebbe infatti essere il punto da cui partire per intraprendere una serie di iniziative finalizzate ad abbattere le disuguaglianze acuite dalla pandemia.
Dall’analisi dei Big Data potrebbe emergere la scuola del futuro caratterizzata da una didattica inclusiva e innovativa.
Analizzando i diversi tool digitali insieme alle differenti modalità didattiche, lo studio, che ha coinvolto un campione di 1.800 docenti intervistati, ha potuto valutare il futuro dell’attività didattica integrata.
Dai dati emerge che la didattica digitale ha avuto un effetto positivo sulla comunicazione e interazione tra i protagonisti della scuola.
I numeri del report
Entrando nel merito dei risultati dell’analisi, per il 63% degli intervistati la didattica digitale ha avuto un impatto positivo sulla comunicazione dei docenti con gli studenti.
Invece l’effetto sulla comunicazione di questi ultimi all’interno della classe è stato positivo per il 45%.
Sembra poi che il 10% dei docenti abbia creato una rete fra colleghi per condividere insieme le sfide e le risorse didattiche.
Il 55% dei docenti ritiene che la didattica digitale abbia svolto un ruolo molto positivo o positivo sulla partecipazione degli studenti alle attività didattiche.
Il 73% del campione afferma che durante la DAD ha implementato metodologie innovative e partecipative almeno una volta a settimana.
Ancora, solo il 17% dei docenti, nel corso della prima fase dell’emergenza, si considerava del tutto o molto “preparato ad affrontare la DAD grazie all’utilizzo di strumenti digitali”, mentre, dopo l’esperienza della DAD, la percentuale sale al 53%.
Secondo l’88% del campione, la didattica digitale ha avuto un impatto positivo (o molto positivo) sulle competenze degli insegnanti.
Ben il 66% concorda nell’impiegare la didattica digitale anche in futuro.
Infine, il 67% del campione di docenti condivide il fatto che “i mesi di emergenza abbiano modificato permanentemente la presenza di strumenti digitali”.
Il contributo del Garante della privacy
Qualunque sia la direzione che prenderà la didattica digitale nelle scuole, dei passi in avanti sono stati compiuti, anche grazie al fondamentale contributo del nostro Garante per la protezione dei dati personali.
Sin da subito, infatti, l’Autorità è intervenuta riconoscendo alle scuole libertà nella scelta delle piattaforme da utilizzare, ma sostenendo al contempo la necessità di assicurarsi che i dati trattati dagli applicativi siano utilizzati solo per la didattica a distanza, vietando l’attivazione automatica di servizi o funzionalità ulteriori non necessari a fini didattici (es. geolocalizzazione o sistemi di social login).
Inoltre il Ministero dell’Istruzione in stretta collaborazione col Garante per la protezione dei dati personali, con Nota n. 11600 del 3 settembre 2020, ha fornito ai dirigenti indicazioni riguardo la tutela della privacy, nonché specifiche istruzioni dedicate all’implementazione delle piattaforme usate per la Didattica Digitale Integrata, con occhio attento a tutti quegli aspetti che coinvolgono la sicurezza in rete e la tutela dei dati personali.
Le scuole in Italia hanno tutti gli strumenti necessari – tra cui il Regolamento Europeo 2016/679 (GDPR) e la figura del Responsabile della protezione dati – per implementare una didattica digitale sicura.
Siamo certi che il Garante della privacy aiuterà gli istituti in questo percorso, al fine di sfruttare al meglio le potenzialità della tecnologia, riservando particolare attenzione alle piattaforme e agli strumenti utilizzati.