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Quanti docenti hanno visto comparire sul proprio cellulare una notifica del genere più e più volte? Tutti o almeno quasi.
Da qualche anno ormai i gruppi WhatsApp – come quelli Telegram, del resto – hanno iniziato ad essere la scelta dominante per la comunicazione a distanza tra più soggetti.
Il fenomeno è molto diffuso, e riguarda sia la dimensione privata (chi non ha il gruppo “famiglia” o “amici da una vita”) che l’ambito lavorativo.
Nel caso dei docenti, poi, è particolarmente rilevante.
Gli insegnanti sono ormai vittime dei gruppi WhatsApp scolastici.
Sono nei gruppi “Genitori e alunni”, “Colleghi”, “Consigli di classe”, “Collegio docenti” e altri ancora.
C’è chi è iscritto a decine di gruppi, suddivisi per classi e poi per attività.
Complice la pandemia e la didattica a distanza, per gli insegnanti il confine tra sfera pubblica e privata è diventato sempre più sottile.
Le chat di WhatsApp si sono impropriamente trasformate nello strumento privilegiato, sia per la comunicazione interna fra i docenti, che per quella esterna fra insegnanti, alunni e famiglie.
I gruppi il più delle volte nascono da iniziative private (e quindi all’insaputa della scuola), e spesso prevedono scambi di informazioni lesivi della privacy.
Stop ai gruppi WhatsApp da parte dei presidi del Lazio
Diversi sono stati i tentativi di docenti e dirigenti di arginare il fenomeno dell’assalto di messaggi su WhatsApp e sui vari social media anche dopo le ore di lavoro.
I presidi di varie scuole hanno iniziato a rivendicare una revisione del codice deontologico fermo al 2012.
Con un capitolo dedicato ai social network e alla comunicazione scuola-famiglia, l’intenzione è quella di ottenere un regolamento in linea con le ultime evoluzioni del sistema scolastico.
In questo contesto si inserisce la decisione dell’Associazione presidi del Lazio, che lo scorso aprile ha detto: “Basta chat, basta gruppi online per comunicazioni più o meno serie, basta telefono costantemente tra le mani, basta confusione di ruoli e rapporti ibridi”.
L’Associazione ha provato in sostanza a darsi delle regole, e ad essere di esempio per gli altri rappresentanti del corpo docenti e per i dirigenti scolastici.
Ha voluto dimostrare che si può comunicare in maniera rapida ed efficace anche senza WhatsApp, Facebook, Instagram e TikTok.
“Vanno evitate le chat con genitori e con studenti, se non per questioni di natura urgentissima come una gita che salta all’improvviso”, ha dichiarato Mario Rusconi, presidente dei dirigenti scolastici di Roma, al Corriere della Sera. “Vorremmo bandire i gruppi WhatsApp in cui i genitori chiedono perché il figlio ha preso 7 invece di 8”.
In quell’occasione Rusconi ha anche spiegato l’importanza di dare delle regole per porre fine a quei contenuti pubblicati sui social che “ledono l’immagine degli istituti scolastici”.
Su WhatsApp solo comunicazioni private!
A questo punto occorre chiedersi: “Hanno validità le comunicazioni che avvengono tramite WhatsApp o altri canali non ufficiali?”.
Ebbene, la risposta è no!
Altri sono gli strumenti istituzionali da utilizzare (quali ad esempio il registro elettronico o le comunicazioni tramite circolari, consultabili dai docenti nelle ore di lavoro).
Per quanto riguarda i dirigenti poi, non è legittimo impartire ordini di servizio ai docenti della scuola tramite WhatsApp.
Tali messaggi non hanno infatti validità legale, e non sono sostitutivi delle circolari regolarmente protocollate.
L’ordine di servizio impartito da un DS a un insegnante – come per esempio un cambio dell’orario scolastico, un recupero di un’ora di permesso breve, o una convocazione ufficiale in ufficio di presidenza – è una comunicazione che va recapitata all’interessato con un numero di protocollo elettronico.
I gruppi WhatsApp dei collegi docenti sono luoghi virtuali che nulla hanno a che fare con gli atti professionali che si svolgono nelle aule scolastiche e negli uffici di segreteria.
Gruppi WhatsApp delle mamme: le regole per la privacy spiegate da Guido Scorza
Accanto ai gruppi WhatsApp che comprendono solo il personale scolastico, ci sono i gruppi WhatsApp delle mamme o dei genitori.
Chi è responsabile dei contenuti pubblicati al loro interno? Quale forma di tutela della privacy esiste per gli utenti che ne fanno parte?
Guido Scorza, componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali, ha dato una risposta a queste domande in una video-intervista rilasciata a Matteo Flora, esperto di reputazione digitale.
Anche nel caso dei gruppi scolastici delle mamme (o di entrambi i genitori) siamo fuori dalle regole dell’applicazione del GDPR. Dovrebbe stupirci?
La risposta di Guido Scorza è chiaramente no, perché si tratta di comunicazioni all’interno di gruppi predeterminati creati per usi privati.
Nel caso però in cui siano i docenti – in nome e per conto della scuola – ad attivare il gruppo in questione, la situazione cambia, nel senso che l’istituto diventa titolare autonomo di tutti i trattamenti dei dati che avvengono nel gruppo.
Ciò significa che deve identificare una base giuridica e fornire un’informativa a tutti gli utenti.
Tuttavia – aggiunge Scorza – per la scuola è complicato individuare una base giuridica, in quanto ha bisogno di una norma di legge o di regolamento, o di un atto amministrativo generale che disciplini l’utilizzo di quel canale di comunicazione che bilanci i due interessi in gioco: l’utilità del canale stesso e la tutela della privacy dei soggetti coinvolti.
Che cosa succede poi se nei gruppi WhatsApp vengono divulgati contenuti illeciti?
Per la pubblicazione di contenuti diffamatori o in qualche modo lesivi dell’immagine di qualcuno all’interno di un gruppo valgono le stesse regole che sussistono nella dimensione reale, ha spiegato Guido Scorza.
Esiste una responsabilità certa da parte dell’autore di quella condivisione e dell’amministratore del gruppo alla quale fare riferimento.
In generale, ciò che nasce in una dimensione privata deve restare tale.
Banalmente, anche uno screenshot di un messaggio pubblicato nel gruppo non può uscire al di fuori della chat, tranne se l’autore ne ha autorizzato una diffusione più ampia.
Tornando ai gruppi scolastici istituzionali, la scuola può obbligare gli insegnanti e i genitori a utilizzare come canale di comunicazione un gruppo WhatsApp?
La risposta di Guido Scorza è no.
Tuttavia, qualora si voglia ugualmente usare questo strumento, occorre fornire un’alternativa a chi non vuole mettere i propri dati nelle mani di un fornitore di servizi che non ha scelto.
In ogni caso, a prescindere da ciò che è consentito o meno fare, la scuola dovrebbe sempre utilizzare strumenti di comunicazione ufficiali come il registro elettronico.
La condivisione del numero di cellulare, infatti, potrebbe esporre insegnanti, genitori e alunni al rischio di forme di stalking, a eventuali furti di identità, e a una serie di pericoli facilmente evitabili.
Non è regressione, ma precauzione!