Molto ha fatto discutere un episodio avvenuto nell’anno scolastico 2015/2016 in un liceo scientifico di Ancona, dove alcuni studenti, dopo aver sottratto le password ai professori, hanno modificato presenze e voti nel registro elettronico.
A tradirli l’elevato numero di interventi compiuti sulla piattaforma, che ha insospettito l’intero corpo docente.
A nulla dunque è valsa l’impresa, volta a modificare la propria presentazione in vista della maturità, poiché tempestivamente la preside ha denunciato l’accaduto alla Polizia Postale, la quale, indagando in maniera approfondita sulla vicenda, ha evidenziato un quadro a dir poco allarmante.
La rete di hacker improvvisati si è infatti rivelata decisamente più estesa: i soggetti coinvolti complessivamente erano 23 ragazze e 11 ragazzi, che oggi rischiano fino a otto anni di detenzione, e che dovranno presentarsi in tribunale il 24 Gennaio 2022.
Ma questa “ragazzata”, avrebbe potuto costare ancora più cara, poiché inizialmente erano stati indagati anche venti genitori con l’accusa di concorso in pirateria informatica e falsità materiale, in quanto intestatari delle utenze telefoniche con le quali i figli si connettevano al server scolastico per apportare le modifiche al registro.
Attraverso le indagini sono state raccolte le memorie difensive da parte degli avvocati, i quali hanno provato l’innocenza dei genitori, dimostrando come gli stessi fossero totalmente inconsapevoli ed estranei alle condotte dei figli.
Ciò ha fortunatamente permesso loro di essere scagionati.
Discorso diverso invece per gli studenti coinvolti, oggi iscritti all’università o giovani lavoratori: un processo penale potrebbe avere pesanti ripercussioni sulle loro vite personali, e ancor di più professionali.
Quando a modificare il registro elettronico è il docente
La storia dei “giovani hacker” tuttavia non è la sola verificatasi da quando è stato introdotto l’utilizzo del registro elettronico.
Nel febbraio 2018 il tribunale di Lecco aveva infatti condannato a 13 mesi di reclusione una docente di una scuola secondaria di II grado a causa delle modifiche apportate a due voti relativi a una studentessa, già registrati sul registro elettronico.
Il reato contestato era allora configurato come “falsità materiale commessa da un pubblico ufficiale” ai sensi dell’art.476 del codice penale.
L’alunna in questione si era accorta dell’anomalia poiché, dopo aver effettuato uno screenshot del registro nel giorno in cui le era stato assegnato il voto, aveva successivamente immortalato il tutto dopo essersi resa conto che la stessa insegnante aveva provveduto ad apportare modifiche al giudizio espresso, ribassandolo.
Registro elettronico come atto pubblico
Il registro elettronico è ritenuto a tutti gli effetti un documento ufficiale: modificarne i voti rappresenta dunque un “falso ideologico”.
Occorre pertanto che i docenti prestino particolare attenzione nell’utilizzare questo strumento, registrando in tempo reale quanto si verifica in classe.
Ad oggi l’adozione del registro elettronico da parte delle scuole non è obbligatoria e non è ancora stata regolamentata (come sottolineato anche dal Garante per la privacy nella lettera inviata al Ministro dell’Istruzione nel maggio 2020).
Tuttavia, gran parte degli istituti scolastici presenti sul territorio nazionale ha deliberato già da tempo in sede di collegio l’adozione del registro elettronico, rendendone di fatto obbligatorio l’utilizzo.
È fondamentale in ogni caso ricordare come il decreto 95/2012 (convertito con legge n.135 del 7 agosto 2012), all’art.7, comma 20,30 e 31, abbia stabilito che, a partire dall’anno scolastico 2012/2013, le pagelle debbano essere redatte in formato elettronico.
Al contempo tuttavia, il comma 27 del suddetto articolo prevedeva che il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca presentasse – entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge 92/2012 – un “Piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie”, che ancora oggi non ha visto la luce.
Il 31 dicembre 2019 la Corte dei Conti ha pertanto relazionato l’evoluzione del piano di dematerializzazione nelle scuole, mediante la delibera n.23/2019/G, testimoniando come l’utilizzo dei registri elettronici nelle scuole abbia ormai raggiunto una diffusione pressoché capillare sull’intero territorio nazionale.
Utilizzo scorretto del registro elettronico
Troppo spesso, da quando il registro elettronico è stato introdotto ufficialmente nelle scuole, i genitori hanno lamentato un uso scorretto dello stesso da parte dei docenti.
I motivi sono molteplici, e spaziano dalle valutazioni assegnate con ritardo rispetto alle interrogazioni orali o alla correzione dei compiti scritti, alla compilazione del registro a fine giornata (o in taluni casi anche a distanza di una settimana), senza tralasciare i voti registrati e modificati in un secondo momento.
I docenti devono perciò essere consapevoli che registrare online un voto di una verifica, per poi modificarlo successivamente, è un’operazione digitale di cui resta traccia nei server.
Un errore può capitare, ma in virtù del fatto che ogni azione è tracciabile, ogni cambiamento va motivato tramite una relazione scritta firmata dallo stesso docente e posta all’attenzione non solo del dirigente scolastico, ma anche dei familiari dell’alunno.
Ciò al fine di evitare fraintendimenti, richiami o pesanti sanzioni disciplinari.
Discorso analogo per quanto concerne la conservazione dei dati di accesso ai server preposti.
Una fuga di password – come avvenuto nell’istituto scolastico di Ancona – può determinare numerose criticità, che possono andare ben oltre la violazione della privacy e dei dati personali, con gravi ripercussioni per chi ne fa un utilizzo improprio e sconsiderato.