Lo scorso dicembre insegnanti e dirigenti sono stati informati, tramite una circolare del Ministero dell’Istruzione e del Merito, su alcune novità riguardanti l’uso dei cellulari e di analoghi dispositivi in classe.
In realtà non si è trattato di vere e proprie novità perché, come già stabilito dallo Statuto delle studentesse e degli studenti del 1998, e dalla circolare ministeriale n. 30 del 2007, è stato confermato il divieto di utilizzare lo smartphone durante le lezioni.
Il cellulare infatti, sostiene il Ministro Valditara, è un elemento di distrazione propria e altrui, e il suo utilizzo in aula determina una mancanza di rispetto verso i docenti.
All’interno della circolare, il Ministro ha inoltre chiarito che: “L’interesse delle studentesse e degli studenti, che noi dobbiamo tutelare, è stare in classe per imparare”, e che “Una recente indagine conoscitiva della VII commissione del Senato ha anche evidenziato gli effetti dannosi che l’uso senza criterio dei dispositivi elettronici può avere su concentrazione, memoria, spirito critico dei ragazzi. La scuola deve essere il luogo dove i talenti e la creatività dei giovani si esaltano, non vengono mortificati con un abuso reiterato dei telefonini”.
L’utilizzo dei cellulari e di altri dispositivi elettronici può tuttavia essere consentito – su autorizzazione del docente, e in conformità con i regolamenti di istituto – per finalità didattiche, inclusive e formative, anche nell’ambito degli obiettivi del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) e della “cittadinanza digitale”.
ANIEF: la soluzione è regolamentare l’uso dei cellulari in classe
Il recente provvedimento del Ministero dell’Istruzione e del Merito ha fatto molto discutere.
Questo perché impatta notevolmente sull’abitudine, ormai consolidata – ma non per questo necessariamente accettabile, né tollerabile – di utilizzare il cellulare dappertutto e in ogni momento.
Pur comprendendo la finalità del Ministro Valditara di regolamentare l’uso di questo strumento durante le lezioni, l’ANIEF (Associazione Nazionale Insegnanti e Formatori) ha dichiarato che l’utilità didattica dello smartphone a scuola è fuori discussione.
Sia per i docenti che per i discenti, il cellulare serve a svolgere diverse attività, come la ricerca dei dati, le sperimentazioni, l’uso empirico e le simulazioni.
È poi estremamente utile per preparare gli insegnamenti e rendicontare le valutazioni e le lezioni svolte.
E lo è anche per i collegamenti online attivi, continui e regolari all’interno degli istituti.
Ciò non significa però che lo strumento non vada regolamentato e gestito meglio di quanto avviene oggi a scuola, visto che gli insegnanti si lamentano perché viene impiegato non di rado per fini puramente personali.
Ma dal punto di vista dell’ANIEF, inibire l’utilizzo dei cellulari solo perché vi sono alcuni studenti che ne fanno un cattivo uso è inammissibile.
Nelle scuole, gli organi collegiali dovrebbero prevedere delle regole di sano utilizzo, e anche sanzioni per chi dovesse attuare un uso distorto dello smartphone.
Questo, infatti, potrebbe essere causa – tra le altre cose – di problemi legati alla privacy, nell’ipotesi in cui i ragazzi condividessero sui social foto e video realizzate in classe senza chiedere il consenso alle persone interessate.
Perché i magnati della Silicon Valley vietano l’uso dei cellulari ai figli più piccoli
Il corretto utilizzo dei cellulari e di altri dispositivi da parte di bambini e adolescenti è certamente un problema globale.
Se si volge lo sguardo al di fuori dei confini nazionali, ci si rende subito conto dell’ampiezza e della complessità della questione.
Negli Stati Uniti, negli ultimi anni, sono nati movimenti e iniziative per allontanare i giovani dai loro smartphone, soprattutto a scuola.
A questo proposito hanno fatto scalpore le dichiarazioni di due dei principali protagonisti del settore tech a livello internazionale.
Stiamo parlando di Bill Gates e Steve Jobs, che nelle interviste dove parlano di sé e della propria vita privata hanno più volte espresso una posizione inaspettata, e per questo interessante, sulla questione “bambini e tecnologia”.
I due hanno infatti raccontato di aver limitato – e in certi casi abolito – l’uso di cellulari e altri dispositivi tecnologici da parte dei loro figli più piccoli.
Questo dovrebbe far riflettere.
Uno dei motivi principali per cui non hanno mai permesso ai propri figli di avvicinarsi troppo alla tecnologia in età infantile è il timore che ne divenissero dipendenti.
Gates, fondatore di Microsoft, ha iniziato a limitare il tempo che la figlia avrebbe potuto trascorrere davanti allo schermo nel 2007, quando la piccola iniziò a mostrare i sintomi di una forte dipendenza da un videogioco.
Tutti e tre i suoi figli, inoltre, hanno vissuto l’intera infanzia senza disporre di un proprio cellulare, ricevendo il primo solo al quattordicesimo anno di età.
Jobs, CEO di Apple fino ai suoi ultimi giorni, vietò ai suoi figli di giocare con il tablet appena lanciato sul mercato dalla sua stessa azienda.
Verrebbe da pensare che i figli di queste icone del settore tecnologico vivano circondati da cellulari e PC di ultima generazione, ma in realtà sono più “tech-free” della media degli altri bambini e adolescenti.
Pro e contro della tecnologia per i minori
Sebbene in tutte le interviste dove parla dell’educazione dei propri figli Gates sia rimasto fermo sulle proprie posizioni, esiste un’eccezione per cui acconsente all’uso della tecnologia.
Si chiama didattica, o meglio “educazione personalizzata”.
Si tratta di un metodo basato sull’utilizzo di questi strumenti per personalizzare il piano formativo di ogni studente.
Solo in questo caso, secondo il fondatore di Microsoft, la tecnologia sarebbe utile all’apprendimento dei ragazzi, e non dannosa.
Questo perché permetterebbe di fare emergere i loro talenti.
Il timore legato a un uso eccessivo degli strumenti multimediali è quello di una perdita di vivacità dei bambini.
Ci sono molti studi che confermano questa possibilità, come la recente indagine condotta dall’associazione Di.Te. in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria Condivisa (SIPEC).
Gli adolescenti che trascorrono dalle 5 alle 7 ore davanti a uno schermo ogni giorno passano anche meno ore a dormire, a incontrare l’altro, e a immergersi nei meccanismi relazionali ed etici che fondano la società.
Manifestano poi sempre più spesso inclinazioni a depressione, solitudine, minor autocontrollo, scarsa concentrazione, instabilità emotiva, autolesionismo e addirittura suicidio.
I dati sono allarmanti, e la percentuale di questo disagio generazionale cresce di anno in anno.
Un fenomeno che spaventa
La gravità del fenomeno ha fatto alzare la voce a educatori, psicologi, scienziati e insegnanti, che invocano a gran voce linee guida nazionali sull’uso delle tecnologie digitali da parte dei ragazzi.
Le generazioni che stanno crescendo in questi anni hanno tutto a disposizione, e possono accedervi tramite un semplice dispositivo collegato alla rete.
Ma sono anche le prime vittime di una tecnologia progettata per semplificare ogni cosa, e che è nata per diventare indispensabile e creare dipendenza.
Solo dall’età di 12-13 anni un ragazzo o una ragazza sono in grado di imparare a pensare in maniera analitica e flessibile.
Da quel momento, in genere, arrivano a capire come telefoni, tablet e PC siano strumenti da usare, e non oggetti da cui farsi manipolare.
Informare e sensibilizzare, come suggerisce anche il Garante della privacy
Nell’era del digitale, permettere uno sviluppo indipendente della personalità e della creatività richiede che la scoperta della tecnologia venga gestita tramite una preziosa e consapevole “alfabetizzazione”.
Solo questa è in grado di trasformare il digitale nel quarto pilastro dell’istruzione, dopo la lettura, la scrittura e la matematica, ovvero nella quarta abilità di cui abbiamo bisogno per creare e trasformare la società di domani.
La vera sfida è comprendere che qualcosa di epocale sta accadendo, e che tutta l’umanità è coinvolta nell’accogliere con consapevolezza e responsabilità il cambiamento.
Le istituzioni, tra cui il Garante della privacy, sono in prima linea per aiutare i più giovani a raggiungere questo obiettivo.
È anche inevitabilmente una questione di tutela dei diritti.
Senza un’alfabetizzazione digitale, i rischi per i bambini e gli adolescenti online sono notevoli (accessi ai dati personali, violazioni della sfera privata, disinformazione e cyberbullismo, tra gli altri).
Bisogna dunque fornire ai più giovani strumenti educativi che li rendano uomini e donne capaci di ergersi con sicurezza di fronte alla rivoluzione digitale, così che possano guidarla senza esserne travolti.