Sono bambini e adolescenti, hanno meno di tredici anni, e ogni giorno raccolgono sul proprio profilo social migliaia di like e follower.
Si chiamano baby influencer, ma il loro comportamento è più simile a quello di un adulto che di un bambino.
Per legge non potrebbero neppure avere un profilo social, e invece postano foto e altri contenuti personali online in cerca di popolarità.
Ma non è solo il desiderio di diventare famosi a spingerli su TikTok, YouTube, o Instagram: alla base delle loro azioni ci sono anche consistenti interessi economici.
Quello dei baby influencer è uno dei fenomeni più rappresentativi dei social media, e quindi del marketing moderno.
Il valore degli investimenti, come unico criterio, è rappresentato dalle visualizzazioni.
Chi riesce a raccoglierne un numero considerevole è in grado di raggiungere molte persone, e ha quindi un alto potenziale in termini di profitti.
Ma come si diventa “influenti” a livello massivo?
Attraverso contenuti originali, divertenti e coinvolgenti, diffusi tramite le piattaforme social.
Tanti genitori hanno constatato che tra le foto e i video più apprezzati dagli utenti ci sono quelli che riguardano bambini e bambine.
Di fatto, qualsiasi cosa veda protagonista un minore, anche molto piccolo, attira visualizzazioni e, con un po’ di impegno e costanza, anche consistenti guadagni.
I baby influencer in Italia
Nato negli Stati Uniti (dove i baby influencer sono già tantissimi), il fenomeno riguarda ormai anche l’Italia e il resto d’Europa, anche se con una frequenza e un’incidenza minore rispetto agli USA.
Spesso si tratta di figli di celebrities già note su Instagram o in ambienti televisivi, i quali, grazie al seguito dei genitori, riescono ad ottenere una maggiore visibilità.
Non mancano tuttavia bambini che sono riusciti a costruire una propria community fedele senza l’aiuto di profili già affermati.
YouTube, Instagram e TikTok sono gli spazi da loro privilegiati.
Il successo dei baby influencer
Il mercato dei piccoli creatori di contenuti digitali sta avendo un vero e proprio boom.
Ma come si spiega questo grande successo?
Il baby influencer “medio” funziona perché parla ai suoi coetanei, facenti parte della Generazione Alfa (nati cioè tra il 2010 e il 2020), che fruiscono già di contenuti digitali, e che sono quindi facilmente influenzabili da quel che i loro “pari digitali” propongono all’interno di video, post, stories, e così via.
Inoltre, c’è da dire che i baby influencer hanno un doppio pubblico: da una parte i loro coetanei, e dall’altra i genitori di questi ultimi.
Influenzano dunque in prima battuta le scelte di bambini e preadolescenti (che a loro volta condizionano padri e madri), ma tendono anche a “interagire” direttamente con gli adulti, avendo questi in mano il vero potere d’acquisto.
Le aziende che sono più interessate a collaborare con i giovanissimi creator sono quelle che producono e commercializzano giocattoli (o comunque prodotti o accessori per l’infanzia e la prima adolescenza), e quelle del settore “fashion”.
Lo storytelling che viene scelto dalla maggior parte dei baby influencer è simile a quello degli adulti.
Canali come Instagram e YouTube sono usati per raccontare la quotidianità e, all’interno della narrazione, ogni volta che è possibile o richiesto, vengono inserite collaborazioni strutturate con aziende che inviano loro prodotti per far sì che li promuovano.
Il prezzo della popolarità
Premesso che molti bambini e adolescenti, nel loro essere influencer, possono aver unito curiosità, passione e gioco a un’attività imprenditoriale utile, ci sono alcuni possibili rischi ai quali potrebbero essere soggetti.
Non sempre è facile mantenere un approccio di autenticità con il mondo reale per chi vive continuamente esposto al giudizio altrui, e questo potrebbe essere ancora più vero se il protagonista non ha raggiunto la maturità.
Gli esempi nello star system di giovanissimi divi con poi una vita da adulti problematica purtroppo non mancano.
I rischi per i baby influencer possono essere vari, tra cui:
- Diventare vittime di genitori “manipolatori”, che sfruttano le abilità e la popolarità dei figli a scopo di lucro.
- Essere in difficoltà nel rapportarsi con la vita reale, avendo un potere economico e una visibilità incredibilmente superiore rispetto agli altri.
- Rischiare di cadere in depressione una volta che la popolarità viene meno (il successo, per molti aspetti, può essere paragonabile a una droga).
Potremmo così assistere a infanzie violate con pericolose ripercussioni sugli adulti di domani.
Il confine con il lavoro minorile
In Italia un minorenne non può lavorare fino al compimento dei 16 anni.
Le uniche eccezioni sono previste dalla legge per il mondo dello spettacolo.
In tali casi è comunque necessaria la preventiva autorizzazione dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che richiede, oltre al consenso dei genitori, anche la garanzia che si tratti di attività che non pregiudichino la sicurezza, l’integrità psico-fisica e lo sviluppo, la frequenza scolastica, o la partecipazione a programmi di orientamento o formazione professionale.
Allo stesso tempo, anche l’uso dell’immagine o delle voci dei minori, nell’ambito o al di fuori di un rapporto di lavoro, deve avvenire con il massimo rispetto della dignità personale, dell’immagine, dell’integrità psicofisica, e della privacy.
In tale ambito, la giurisprudenza ha sottolineato che occorre valutare se il contratto che prevede l’uso dell’immagine del minore è realmente rispondente al suo interesse, applicando i principi e i limiti stabiliti dalla Carta di Treviso.
Qualora vi fosse una violazione dei diritti, l’autorità giudiziaria può intervenire emettendo provvedimenti inibitori, compresa la rimozione dei contenuti.
A tutela dei diritti del minore possono essere richiamati gli istituti previsti dal nostro codice civile, in particolare l’impossibilità che gli atti di straordinaria amministrazione, come la riscossione di somme a qualsiasi titolo, siano compiuti dai familiari senza la preventiva autorizzazione del giudice.
Comunque i guadagni percepiti dai genitori devono essere destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione e all’educazione dei figli.
In Italia, inoltre, l’art. 2-quinquies del codice privacy (D.Lgs. 196/2003, modificato dal D.Lgs. 101/2018), fissa a 14 anni l’età minima per iscriversi a un social network.
Per chi ha meno di 14 anni è consentita comunque l’iscrizione, a condizione che vi sia il consenso dei genitori.
In ogni caso è sempre prevista l’applicazione delle norme sulla responsabilità genitoriale.
I genitori, com’è ovvio, hanno un dovere di cura e di educazione nei confronti dei figli minorenni, inclusa la corretta gestione dell’immagine pubblica.
La loro azione di supervisione e tutela deve perciò avvenire nel rispetto della privacy e della riservatezza dei figli.
L’intervento del Garante infanzia e del Garante privacy per tutelare i minori
Il Tavolo tecnico sulla tutela dei diritti dei minori nel contesto dei social network e dei servizi e dei prodotti digitali in rete, istituito presso il Ministero della giustizia, potrebbe rappresentare una svolta anche per il fenomeno dei baby influencer.
Il tavolo è nato con l’obiettivo di “…individuare misure tecnico legislative che mirino a tutelare i diritti dei minorenni nell’uso dei social network, dei servizi online e dei prodotti digitali connessi alla Rete”.
Hanno lavorato a questo scopo il Ministero della giustizia, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, il Garante per la protezione dei dati personali, e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Nel corso dell’ultima riunione del Tavolo tecnico, Carla Garlatti, Garante per l’infanzia e l’adolescenza, ha dichiarato che “L’attività dei bambini influencer può compromettere seriamente lo sviluppo sano ed equilibrato al quale ciascun minorenne ha diritto. La sovraesposizione può infatti impedire di vivere l’infanzia o l’adolescenza in maniera adeguata, sotto la pressione della ricerca del guadagno”.
Ginevra Cerrina Feroni, vice Presidente Garante per la privacy, ha invece fatto presente che per costruire ambienti digitali utili e sicuri bisogna introdurre regole, piuttosto che divieti.
In generale, l’allarme lanciato da più fronti, compresi i referenti delle principali piattaforme (Facebook, Instagram, YouTube e TikTok), è che le famiglie non vigilano sul comportamento dei propri figli.
Nella relazione finale, e al termine del lavoro dei soggetti coinvolti, il Tavolo ha proposto tra le altre cose l’introduzione di una disciplina che preveda un’autorizzazione preliminare da parte del giudice nei casi in cui venga erogato un compenso per le attività svolte da minori.
Il giudice avrebbe anche il compito di fare chiarezza sulla destinazione di tale compenso, e di prevedere il diritto all’oblio per i contenuti pubblicati da parte dei ragazzi una volta compiuti 14 anni.