Da diversi anni non sono più soltanto la stampa e i telegiornali i principali canali di comunicazione.
Le notizie, si sa, circolano anche tramite internet e i social network.
Sono queste oggi le fonti dalle quali adulti e bambini riescono a trovare tutte le informazioni che vogliono a una velocità incredibile.
La rete ha in sé una caratteristica che la rende sia particolarmente attraente che estremamente insidiosa: la disintermediazione.
La disintermediazione elimina ogni filtro, offre a tutti la possibilità di esprimersi senza alcun tipo di controllo, e rende estremo il concetto di democrazia del web, dove la credibilità non si guadagna soltanto per titoli di studio e curricula, ma anche per visibilità, carisma, e capacità di raccontare i fatti.
Nulla di particolarmente diverso dai classici strumenti della retorica, se non fosse che gli effetti delle informazioni diffuse attraverso il web e i social (che non necessariamente rispondono a rigidi criteri di verifica delle fonti e di deontologia giornalistica) possono essere esplosivi, perché navigano su larghissima scala.
Peraltro, i social media sono per definizione il regno della disintermediazione, vista l’estrema facilità di creare un account.
Le fake news non sono un fenomeno inaspettato
Già nel 2013 il World Economic Forum, nel suo report annuale, aveva individuato fra le sfide globali l’esplosione selvaggia dell’informazione digitale in un mondo iperconnesso.
Nel capitolo “Digital Wildfires in a Hyperconnected World” (pagina 23 del report) venivano descritti con precisione i pericoli rappresentati da un uso distorto di un sistema aperto e accessibile a tutti.
“Il rischio globale della disinformazione massiccia digitale”, si scriveva, “si pone al centro di una costellazione di rischi tecnologici e geopolitici che vanno dal terrorismo, ai cyber attacchi, al fallimento della governance globale”.
Ad uno ad uno questi timori hanno preso corpo, fino alla recente pandemia, che in virtù della sua enorme portata ha dato un’ulteriore accelerazione a dinamiche già in atto.
Perché le fake news hanno tanto successo
Le fake news ignorano completamente le norme editoriali, le regole, e i processi adottati nei media per garantire la conformità e la verificabilità, eppure riescono a riscuotere enorme successo.
Innanzitutto tali notizie fanno leva su determinate paure, e quindi sull’emotività dell’opinione pubblica.
Sfruttano convinzioni condivise dalle masse, che prescindono del tutto o in parte dalla conformità con il reale.
Cercano di ottenere il cosiddetto “confirmation bias”, in base al quale le persone accettano facilmente informazioni che confermano le proprie convinzioni, e ignorano quelle che non lo fanno.
Gli autori delle fake news fanno un uso sapiente di titoli sensazionalistici e foto per attirare l’attenzione attraverso i social e, conoscendo gli algoritmi che si celano dietro i motori di ricerca e le piattaforme più diffuse, usano specifiche tecniche di advertising per far sì che la notizia diventi virale.
Peraltro, i social network, per come sono strutturati, concorrono alla creazione di “filter bubble” (bolle di filtraggio), le quali, sulla base delle scelte e delle ricerche effettuate in passato, offrono contenuti che si allineano alle proprie convinzioni.
Da questo punto di vista, quindi, non aiutano certo a sviluppare senso critico e pluralismo.
Cherry picking e fallacia logica
Le fake news citano spesso studi effettivamente svolti e fatti realmente accaduti facendo uso della tecnica del “cherry picking”, che consiste nel selezionare esclusivamente le prove a sostegno della propria tesi, ignorando tutte quelle che la potrebbero confutare.
Infine, molto spesso vengono messe in correlazione due o più variabili tra le quali in realtà non esiste alcun nesso da un punto di vista scientifico.
Viene cioè confuso il concetto di correlazione con quello di causalità.
La correlazione si riferisce a una relazione tra due o più variabili che cambiano insieme, la causalità a una relazione tra due o più variabili, dove una causa l’altra.
Gli strumenti messi in campo per arginare le fake news
A livello globale (e dunque anche in Italia), negli ultimi anni sono nati numerosi siti dediti al “debunking” delle fake news.
Per “debunking” si intende l’attività di smascherare ciarlatanerie, bufale, notizie false, esagerate, antiscientifiche, dubbie o tendenziose.
Queste piattaforme adoperano come approccio il “fact-checking”.
Si accertano cioè che le affermazioni e i dati contenuti in un determinato articolo siano estrapolati da fonti attendibili e/o basati su evidenze scientifiche.
Tuttavia, gli articoli che spiegano con dati scientifici l’infondatezza di una notizia falsa spesso non raggiungono il pubblico complottista, oppure lo fanno reagire in senso opposto a quello sperato.
Si è pensato anche di etichettare le notizie false, segnalandole agli utenti nei social media in cui vengono pubblicate.
Come nel caso del “debunking”, però, si ritiene che tale etichettatura potrebbe spingere a polarizzare e rafforzare le convinzioni di coloro che ormai sono stati “contagiati” dalla fake news.
Inoltre, in alcuni casi gli utenti condividono la notizia anche se la ritengono falsa (in parte o totalmente).
Infine si pongono ulteriori problematiche di carattere etico.
Identificando enti terzi capaci di controllare ogni singola notizia si concede di fatto a questi ultimi un potere molto forte, assimilabile a quello della censura.
I ragazzi si informano soprattutto su TikTok: il caso guerra in Ucraina
Sicuramente i più esposti alle fake news sono i minori.
Il loro canale di informazione privilegiato ora come ora è TikTok.
Secondo un’indagine pubblicata di recente da NewsGuard, la società statunitense che monitora l’affidabilità delle notizie pubblicate sul web, in questo periodo TikTok sta inondando i propri iscritti di video relativi alla guerra tra Russia e Ucraina.
Gli analisti di NewsGuard hanno navigato per 40 minuti sull’app senza condurre alcuna particolare ricerca, limitandosi a scrollare l’elenco dei video selezionati per loro in automatico da TikTok.
In un secondo esperimento hanno invece inserito generiche parole di ricerca come “Russia”, “Ucraina” o “Donbass”, e hanno poi esaminato i primi venti video proposti dall’algoritmo.
In entrambi i casi, i ricercatori sono incappati in palesi falsità o pesanti mistificazioni, da un lato e dall’altro della barricata.
Sin dall’inizio del conflitto compaiono su TikTok video in cui si afferma, senza alcuna contestualizzazione, che il governo ucraino è neonazista, che le immagini della guerra sono false, che gli Stati Uniti possiedono una rete di laboratori per armi biologiche nel Paese, e che l’esercito americano sta per raggiungere la regione.
Non mancano poi le mistificazioni in favore dell’Ucraina, come il video del Presidente Zelensky mentre combatte per il suo Paese, in realtà girato nel 2021.
Oppure il video del “Fantasma di Kiev” che abbatte sei jet russi (in realtà tratto da un videogioco), o quello che dichiara di mostrare scontri tra l’armata ucraina e quella russa (in realtà si tratta di immagini di soldati ucraini che nel 2015 combattevano i ribelli filorussi nell’est del Paese).
Un kit didattico per riconoscere le fake news
Essendo più vulnerabili e meno consapevoli dei pericoli in cui possono imbattersi in rete, gli adolescenti vanno in qualche modo educati a difendersi dalle fake news.
Con questo kit, elaborato nell’ambito del progetto dell’Unione Europea “Learning corner”, gli insegnanti delle scuole secondarie possono aiutare i propri studenti a distinguere il vero dal falso quando sono online.
Il kit, che si aggiunge alla lista di strumenti che già avevamo fornito in un precedente articolo, è interamente in lingua inglese, e comprende una presentazione con case study, esercizi di gruppo e una guida per i docenti, in modo da indirizzarli nella strutturazione di lezioni sul tema delle fake news.
Del progetto “Learning corner” fanno parte anche molti altri contenuti, che consentono a bambini e adolescenti di saperne di più sulle politiche dell’Unione Europea attraverso giochi, concorsi e libri interattivi.