In un minuto avvengono circa 5,7 milioni di ricerche su Google.
Quasi continuamente nel mondo c’è qualcuno che cerca qualcosa navigando in internet.
Ma alla query (come viene definita tecnicamente “la richiesta”) che l’utente fa al motore di ricerca non sempre fa riscontro una risposta corretta e affidabile.
Sì, perché online c’è spazio per tutto: per i contenuti veri e per quelli falsi, per quelli istituzionali e per quelli costruiti “ad hoc” al fine di sembrare tali.
In questo scenario, la competenza più importante da possedere non è saper cercare e trovare le informazioni, ma essere in grado di selezionarle.
Riuscire perciò a distinguere le fonti attendibili da quelle meno affidabili.
Solo così è possibile difendersi dalle cosiddette fake news, e cioè dalle informazioni in parte o del tutto false, divulgate intenzionalmente o meno attraverso il web, i media o le tecnologie digitali di comunicazione.
Ma facciamo un po’ di chiarezza.
L’ecosistema della disinformazione è piuttosto articolato.
Si divide tra mis-informazione, che è la condivisione involontaria di informazioni false, dis-informazione vera e propria, che è la deliberata creazione e condivisione di informazioni note per essere false, e mala-informazione, che comprende invece notizie vere condivise in maniera illecita per danneggiare qualcuno e qualcosa.
Come sono costruite e dove circolano maggiormente le fake news?
Le fake news fanno quasi sempre leva su emozioni, paure o pregiudizi (curiosità, razzismo, insicurezza, ecc.).
Toccano temi di un certo interesse, legati all’attualità (salute, politica, celebrità, immigrazione), e hanno toni drammatici o sensazionali.
Siccome buona parte delle persone oggi si informa attraverso i social network, spesso sono proprio questi ultimi a favorire la diffusione di notizie false.
Nello spazio ristretto delle pagine e dei profili personali che ciascun utente segue e a cui dà fiducia, circolano moltissime fake news.
In questo contesto è particolarmente difficile riuscire a distinguere ciò che è vero da ciò che è falso.
I risultati della ricerca Ipsos sul rapporto tra giovani e informazione
L’indagine “Media e fake news” che Ipsos ha recentemente realizzato per IDMO (Italian Digital Media Observatory) ci restituisce un quadro completo sul tema.
Dallo studio emerge anzitutto come tra gli italiani non ci sia confusione sul significato di fake news.
Per tutti si tratta di notizie inventate, anche se quando c’è da individuarle la situazione non è più uniforme.
Il 73% degli intervistati – mille persone sentite tra l’1 e il 4 febbraio 2022, metà uomini e metà donne, dai 30 ai 64 anni, con diversi livelli di istruzione – ritiene infatti di essere in grado di distinguere un fatto reale da una bufala.
Tuttavia, se deve giudicare il comportamento degli altri, il pensiero è che appena il 35% sia altrettanto capace di farlo.
Una differenza di atteggiamento che è più forte tra i giovani scolarizzati, la categoria che qui ci interessa: quasi otto giovani tra i 18 e i 30 anni di età (quote oltre il 75%) crede più nella propria capacità di saper distinguere i fatti reali dalle fake news che in quella altrui.
Più si abbassa l’età, più aumentano i controlli sulle informazioni online per verificarne l’affidabilità, inclusa la presenza di fake news.
Tra i giovani (18-30 anni), il 61% si accerta infatti di autori e link, il 56% fa comparazioni con altri indirizzi web, il 38% bada che il sito sia aggiornato.
Il Digital Services Act è una soluzione anche per le fake news
Per regolamentare la circolazione di contenuti illegali o nocivi online, lo scorso 5 luglio il Parlamento Europeo ha approvato il Digital Services Act (o legge sui servizi digitali).
Nel testo del DSA il tema della disinformazione in rete è trattato in maniera diffusa.
Proteggere gli utenti infatti significa anche impedire che vengano raggiunti da notizie false e fuorvianti.
Per queste ragioni, l’UE ha ritenuto necessario dotarsi di un organismo e di procedure “ad hoc”.
Un comitato di coordinatori nazionali dei servizi digitali potrà raccomandare alla Commissione di attivare meccanismi finalizzati alla valutazione di impatto delle attività di piattaforme e motori di ricerca.
In questo modo si potranno adottare misure proporzionate ed efficaci per la tutela dei diritti fondamentali delle persone, come il diritto a un’informazione affidabile e veritiera.
In altri termini, queste misure consisteranno nell’applicazione di filtri ai contenuti e nell’adozione di meccanismi non espliciti di censura.
La disinformazione dovrebbe essere disincentivata anche sotto il profilo economico: in altri termini, una volta “deciso” che un contenuto è fake, gli introiti pubblicitari per piattaforme e motori di ricerca sarebbero azzerati o drasticamente ridotti.
Dato che i fringe sites (o siti marginali) guadagnano parecchio tramite la pubblicizzazione di prodotti sui propri canali, la scelta politica è obiettivamente molto forte.
Ci è voluto meno di un anno e mezzo per approvare il nuovo pacchetto di norme (DSA) che andrà a disciplinare i servizi digitali, ricercando un nuovo equilibrio tra uso dei dati, protezione dei diritti ad essi connessi e delle libertà fondamentali dei cittadini europei.
Se a ciò si aggiungono i precedenti interventi legislativi, come la recentissima proposta del Data Act, si comprende quanta attenzione venga data negli ultimi tempi alla disciplina dei comportamenti online.
Naturalmente, nonostante la rapidità fin qui manifestata dalle istituzioni comunitarie, prima di vedere pienamente in vigore il nuovo corpus normativo occorrerà far passare un po’ di tempo.
Ma noi attendiamo fiduciosi!
Il parere del Garante sul DSA
Nel corso del suo ultimo intervento sul tema delle fake news, l’Autorità Garante per la Privacy, durante un’audizione in Senato sul ddl 1900 e 1549, si è espressa favorevolmente a proposito dell’introduzione del Digital Service Act.
Lo ha definito un ordinamento “proattivo” nella responsabilizzazione delle piattaforme online, ribadendo il loro doveroso monitoraggio preventivo da parte delle istituzioni.
Le false informazioni implicano spesso anche trattamenti illeciti e non autorizzati di dati personali, nonché altri fenomeni di rischio per la tutela della privacy e dei diritti fondamentali delle persone.
Con l’adozione del DSA, secondo il Garante, si completa il percorso compiuto dalla giurisprudenza nel segno di una maggiore responsabilizzazione dello spazio digitale.
Si tratta, insomma, di un altro importante passo “per impedire che la rete, con la forza della condivisione virale, divenga la cassa di risonanza di violazioni dei diritti individuali”.
Non intervenire in tal senso significa voltarsi dall’altra parte, scatenando una serie di imprevedibili conseguenze.
“[…] Apprezzo, inoltre”, ha concluso il Garante, “[…] il rilievo assegnato dai ddl al ruolo che l’educazione digitale assume nella prevenzione dei fenomeni variamente distorsivi della rete, tra i quali anche la disinformazione.
È un aspetto dirimente soprattutto per la formazione delle future generazioni, che per quanto native digitali necessitano ancora di una capillare sensibilizzazione verso i rischi cui la rete ci espone e da cui la rete stessa deve essere liberata, perché torni ad essere quello spazio di libertà e democrazia di cui abbiamo sempre più bisogno”.
Due proposte didattiche per imparare a riconoscere le fake news
Come ha fatto notare anche il Garante per la privacy, è sempre più urgente intervenire dal punto di vista didattico per arginare il fenomeno delle false notizie.
È dunque necessaria l’attivazione di competenze specifiche, affinchè studenti e studentesse siano messi in grado di individuare questo genere di informazioni e di prenderne le distanze.
L’acquisizione di una conoscenza critica e di un atteggiamento attivo nei confronti delle informazioni è una delle finalità principali di molte discipline, ma soprattutto della storia e dell’educazione alla cittadinanza.
Come fare perché gli studenti sappiano assumere un atteggiamento di corretta distanza critica di fronte al flusso inarrestabile di informazioni che trovano sul web (e non solo)?
Smascheriamo le fake news!, disponibile sulla piattaforma di De Agostini Scuola, è un’attività didattica sicuramente utile a questo scopo.
Rivolta a studenti del biennio della scuola secondaria di secondo grado, è costituita da 5 moduli di 2 ore ciascuno.
Il suo obiettivo è rendere consapevoli gli studenti del fenomeno delle fake news e fornire loro gli strumenti base per riconoscerle, a partire dalla critica delle fonti utilizzata dagli storici.
La seconda proposta didattica non consiste in una vera e propria attività, ma in una serie di suggerimenti pratici.
“Condividi solo notizie che hai verificato. Usa gli strumenti di Internet per verificare le notizie. Chiedi le fonti e le prove. Chiedi aiuto a una persona esperta o a un ente davvero competente”.
Sono alcuni dei punti, due dei quali stilati direttamente da studenti e studentesse, del Decalogo pubblicato da Generazioni Connesse, il progetto supportato dal Ministero dell’Istruzione per promuovere un corretto uso della rete.
Ogni volta che un’iniziativa del genere prende forma, governi, istituzioni e ogni altro attore coinvolto possono affermare di aver lasciato un’impronta.
Quell’impronta che servirà a definire di una società digitale attenta, consapevole e sicura.