Sia le fonti del diritto nazionale, che quelle internazionali, tutelano i diritti dei minori sulla base di convenzioni e leggi.
Il primo provvedimento nato con questo obiettivo risale al 20 novembre 1989, data in cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha approvato la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.
Il regolamento è stato ratificato in Italia con l’approvazione della legge del 27 maggio 1991, numero 176.
Quattro anni prima, nel 1987, a Bologna era stato fondato Telefono Azzurro, una onlus nata con lo scopo di difendere i diritti dell’infanzia e dei minorenni.
È proprio in quegli anni che in Italia esplode il fenomeno delle televisioni commerciali, con la conseguente esposizione mediatica incontrollata dei bambini, per farne spettacolo o speculare sulle loro problematiche suscitando pericoloso sensazionalismo.
Non a caso, nel 1990 sarà approvata la Carta di Treviso, frutto di un protocollo siglato tra Ordine dei giornalisti, Federazione Nazionale della Stampa Italiana e Telefono Azzurro, con l’intento di disciplinare i rapporti tra informazione e infanzia.
La Carta, se da una parte tutela il diritto di cronaca, dall’altra pone l’accento sulla responsabilità che i mezzi d’informazione hanno nella costruzione di una società che rispetti appieno l’immagine di bambini e adolescenti.
Alla base c’è il principio di difendere l’identità, la personalità e i diritti dei minori vittime o colpevoli di reati, o comunque coinvolti in situazioni che potrebbero comprometterne l’armonioso sviluppo psichico.
La Carta di Treviso diventerà parte integrante del Testo unico dei doveri del giornalista solo nel 2016, a seguito di gravi episodi di cronaca, con ripetute violazioni di diritti e mancata tutela dell’immagine dei minorenni.
Bambini e ragazzi hanno perciò diritto alla protezione della legge contro ogni forma di interferenza, speculazione, ed esposizione dell’immagine.
Le foto e i video che li ritraggono non possono essere pubblicate se ledono la loro reputazione e dignità.
A supportare tale principio vi sono anche i fondamenti della Costituzione italiana: l’articolo 31, ad esempio, dice espressamente che l’infanzia va protetta.
I pericoli dei media per i minori
La rete internet ha amplificato le ripetute violazioni penalmente perseguibili, anche se è un’opportunità di veicolo di contenuti socialmente utili, o validi per la formazione e la crescita del minore.
Nel “deep web”, la rete più profonda e sommersa che sfugge ai motori di ricerca popolari e ai regolamenti di tutela, spesso si verificano fenomeni gravi di cyberbullismo, pedopornografia e commercio illegale.
Per questi motivi, il Garante della privacy raccomanda massima prudenza nella pubblicazione di foto e video sul web.
In particolare, nel vademecum “La scuola a prova di privacy”, precisa che va prestata particolare attenzione alla condivisione di immagini su internet e sui social network.
In caso di comunicazione sistematica o diffusione, diventa infatti necessario ottenere il consenso informato delle persone presenti nelle fotografie e nei video.
Naturalmente, nel caso di minori, tale consenso può essere fornito solo da chi esercita la responsabilità genitoriale, anche in caso di genitori separati o divorziati.
Ciò però non significa che si possano pubblicare foto e video di bambini e ragazzi senza valutare attentamente i contenuti e il contesto in cui vengono diffuse.
La loro dignità prevale sempre su qualsiasi criterio o motivo di pubblicazione.
Il ruolo della scuola nel difendere la privacy e i diritti dei minori
Sempre più spesso ci si trova dinnanzi ai dubbi di dirigenti e docenti sulle dinamiche che riguardano la protezione dei dati in ambito scolastico, e quindi sulla possibilità di raccogliere e utilizzare, nei modi e per le finalità più disparate, immagini e video di studenti senza incorrere in rischi di violazioni della privacy.
Nello specifico, i dubbi di dirigenti e docenti riguardano non tanto le condizioni che legittimano la pubblicazione da parte della scuola di dati personali relativi agli studenti, quanto piuttosto la necessità o meno di acquisire il consenso dei genitori.
Naturalmente, tutte le scuole – sia pubbliche che private – hanno l’obbligo di far conoscere agli “interessati” (studenti, famiglie, professori, ecc.) come vengono trattati i loro dati personali.
Devono cioè rendere noto, attraverso un’adeguata informativa, e con le modalità ritenute più opportune, quali informazioni raccolgono, come le utilizzano, e per quale fine.
Nel caso della registrazione di contenuti multimediali (foto, audio e video) che riprendono alunni e alunne, allo scopo di verificare la liceità del trattamento di dati che si intende effettuare, l’operatore scolastico dovrebbe porsi una serie di interrogativi preliminari:
- La finalità del trattamento consiste nella esecuzione di un compito di interesse pubblico o nell’adempimento di un obbligo legale?
- Il trattamento è funzionale al raggiungimento della finalità perseguita? (serve, ad esempio, per documentare l’attività formativa svolta nell’ambito di un P.O.N., o di un progetto didattico previsto nel P.T.O.F.?)
- Quel trattamento è l’unico modo per raggiungere la finalità perseguita? (non è possibile documentare diversamente l’attività svolta, ad esempio attraverso gli elaborati prodotti dagli alunni?)
- Il trattamento è proporzionato rispetto alla finalità perseguita? (i dati personali trattati sono ridotti al minimo indispensabile per il raggiungimento dello scopo?)
- L’eventuale adozione di cautele particolari nel trattamento dei dati (ad esempio, riprendendo i soggetti di spalle o da lontano, evitando i primi piani o pixelando i volti), tali da precludere la riconoscibilità dell’interessato, consente di raggiungere la finalità perseguita?
Se le risposte a queste domande sono tutte affermative, il trattamento può essere considerato legittimo in sé, e non richiede il consenso.
In ogni caso, le scuole dovrebbero evitare di pubblicare foto e video che ritraggono i singoli, e preferire invece scatti di gruppo per rendere la riconoscibilità dei soggetti più complicata.
Il comportamento dei genitori
A prescindere dalle leggi, dai regolamenti e dalle convenzioni, il buon senso dovrebbe orientare le scelte e i comportamenti dei genitori o di chi si fa carico del minore.
Nella società dell’immagine, in cui si sente spesso il bisogno di condividere lo spazio privato in una “piazza virtuale”, i rischi per i più giovani sono notevoli.
Annunciare su un social la nascita del proprio figlio, riportando dati sensibili come il nome e la data di nascita, espone il bambino al rischio di furto d’identità.
Oppure quando si pubblicano informazioni sul posto in cui si trovano i figli, si mette potenzialmente a rischio la loro sicurezza.
Se proprio è necessario farlo, allora meglio impostare la protezione dei materiali pubblicati in aree riservate (come i siti web), o in pagine social con impostazioni della privacy non “pubbliche”.
Per quanto riguarda le riprese video e le fotografie scattate dai genitori durante le recite, le gite e i saggi scolastici, sono contenuti raccolti per fini personali, e destinati a un ambito familiare o amicale.
Va quindi prestata particolare attenzione all’eventuale pubblicazione di queste immagini su internet e sui social network.
In caso di diffusione di immagini dei minori, diventa infatti indispensabile ottenere il consenso da parte degli esercenti la responsabilità genitoriale.
Pubblicazione di foto di minorenni, e genitori separati, divorziati o non concordi
La pubblicazione di foto di minorenni senza il consenso di entrambi i genitori è illecita anche quando questi ultimi esprimono pareri opposti, che siano separati, divorziati, o semplicemente non concordi sulla scelta di pubblicare o meno foto e video dei figli.
È sufficiente che uno dei due non sia d’accordo per imporre l’immediata rimozione delle immagini, con eventuale condanna ex art. 614 bis c.p.c. e pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nella rimozione, o per ogni successiva pubblicazione non espressamente autorizzata.